ROBERTO VECCHIONI: LA FELICITÁ ADDOSSO
Il grande artista ci introduce alle sue istantanee di beatitudine permanente. L’istruzione strumento di libertà, il tempo verticale e la Romagna Felix
Intervista di Andrea Mainardi, foto Imagoeconomica
Un pianista lotta coi tasti del suo strumento sul prato di una collina; i fogli dello spartito volano via sparsi. “Io la felicità la voglio addosso come una febbre”, chiarisce Roberto Vecchioni fin dalla copertina del suo ultimo libro. “È falso che la felicità sia imperturbabilità. Mentiva, è un cretino Epicuro. Da questo punto di vista è più preciso Vasco Rossi. La felicità va sollecitata, combattuta, brigata, sofferta, voluta, cercata. La felicità ci appartiene, e non dobbiamo assolutamente buttarla via”.
Non è un problema di definizione, di momenti nel tempo, ma un’intensità di, e nella, vita, sembra dire il professore di Carate Brianza. Istantanee di esistenza, personalissime e intime, tra le pagine del suo La vita che si ama – Storie di felicità (Einaudi, 2016). Parlandone a inizio estate a Lugo, a conclusione dello ScrittuRa Festival, Vecchioni ha rapito un teatro intero per due ore che son parse un palpito rapidissimo.
Professore, di questi tempi, e a 73 anni, ci vuole una certa coraggiosa baldanza a scrivere un libro sulla felicità. Non sembra ci sia spazio per interrogarsene con tutti i guai che viviamo…
“Io non parlo della felicità ordinaria, ma di qualcosa che è come una macchia d’olio estensiva, che si allarga e tutto tiene; quello che comprende e regge gli elastici della vita. Tutti ne hanno detto, da Seneca a Bergson. Tutti la cerchiamo. La felicità ci riguarda in quanto uomini, anche se ce ne dimentichiamo. Sono vecchio per parlarne? E perché mai? I giovani la desiderano, ma in loro c’è più un senso di spensieratezza, anche un po’ di avventurosità. La felicità la raccogli quando hai tutto sul piatto. La felicità è perenne, altrimenti è un’altra storia; magari è serenità, o risata, o euforia. Ma quelle sono bugie della felicità. Non è un angolo acuto della vita, una bisettrice, un cerchio. O la quadratura del cerchio. La felicità è la geometria stessa. Noi abbiamo una costruzione naturale, l’uomo ha in sé come una valvola per la felicità. E c’è. Lei c’è”.
Però la promessa non basta. Magari ci sono degli attimi di felicità. Forse ne resta il ricordo; ma, insomma, l’attualità della felicità è effimera...
“E perché mai? Anzi. Non possiamo accontentarci di quei pochi attimi: che sono di serenità. Non ho nulla contro i bei momenti, ma farseli bastare è sciocco. Noi siamo fatti per la felicità, siamo padroni della nostra esistenza, anche a rischio di andare a fondo. Sono felice perché sono vivo, e perché sono davvero contento di essere un uomo. Nel libro parlo di occasioni, tutti gli episodi sembrano scemi, delle cretinate. E invece nella loro inutilità si dilatano, dimostrano che la felicità ci è vicina, c’è sempre, ovunque. Anche nel dolore. L’ho pensato in momenti davvero brutti; cerca cerca, l’ho capito: la condizione naturale dell’uomo è la felicità”.
Come in Luci a San Siro, dove c’è dentro tutto l’abbandono del primo amore.
“Se in quel momento la mia donna non mi avesse lasciato non l’avrei mai scritta. Ero militare di leva, ancora più triste per questo. Allora mi caccio in un angolo e comincio a scrivere. E di quella specie di amore che sarebbe durato forse anni, ma sarebbe finito, è uscita una canzone. L’addio di quella sera non fa più male, ma la commozione che mi prende ogni volta a cantarla è viva e lo sarà sempre. Perché quella canzone fa parte di ciò che io chiamo il tempo verticale, in cui passato, presente e futuro sono impilati l’uno sull’altro. E i ricordi sono tutti lì, a portata di mano, non dispersi. È un obelisco la vita, non un orizzonte, che poggia su una tessera sola. Vivere il tempo verticale non vuol dire uscire dal tempo, imperturbabili ai venti e alle tempeste. Vuol dire avere davvero tutto in un solo istante”.
Ammetterà che per chi non ha un lavoro e fatica a mantenere la famiglia, o chi vive dolori quotidiani, questa felicità può apparire come un’astrazione, bella, ma che non riguarda la vita, non la cambia.
“Se la felicità si maschera da dolore qualche volta, però ti dà, ti dà sempre. Anche adesso che parlo con Lei ho in testa tanti problemi, ma sono felice. La felicità è più della grande o piccola cosa che accade, della soddisfazione o del catalogo delle sfighe di ogni giorno. Il destino lo puoi battere. E non è vero che i poveri sono necessariamente felici o infelici. I ricchi sono ossessionati dal potere, il povero è spesso prigioniero della sua miseria, ma ha un afflato di giustizia che lo fa tendere oltre”.
Nel suo libro non parla di politica, che pure l’ha appassionata per tanta parte della sua vita.
“Vivo una grande sonnolenza politica, non c’è più l’attivismo giovanile. Però c’è un sentimento dell’uomo che dà speranza, c’è la felicità che è il controcoro di tutta la vita. E quindi anche il senso di una verità corale, la possibilità che gli uomini si tendano la mano l’un l’altro. Ma oggi chi è che lo fa?”.
Lei ha insegnato a lungo nei licei, oggi all’università. Perché insegnare?
“È essenziale. Mi arrabbio quando sento dire che non ci sono i soldi per l’istruzione. Invece è la cosa più importante; senza non invecchi, o se lo diventi senza istruzione è una tragedia. La cultura, l’istruzione è la libertà che ti dà libertà. Ecco perché l’insegnante è il politico più importante”.
Vecchioni, una battuta sulla Romagna e la Riviera.
“Non basta una battuta. La Romagna è l’immagine di una felicità; bella per la sua Storia, il suo Rinascimento; bella anche per la sua estate, forse dozzinale, ma ci sta, ci stai e ci stai bene. È un mondo; dove le persone si tengono aggrappate, dove le persone sono buone”.
CHI E' ROBERTO VECCHIONI
Roberto Vecchioni nasce a Carate Brianza nel 1943 da genitori napoletani. Nel 1968 si laurea in lettere antiche presso l’Università Cattolica di Milano, proseguendo la sua attività d’insegnante di greco, latino, italiano e storia in vari licei classici di Milano e di Brescia per poi passare all’insegnamento universitario, in Italia e all’estero. La sua attività nel mondo musicale inizia negli anni ’60, quando comincia a scrivere canzoni per artisti affermati (Vanoni, Zanicchi, Cinquetti…), collaborazioni che riprenderà più tardi anche per Nannini, Oxa, Patty Pravo... Dal 1983 Vecchioni è anche autore di libri e saggi e collabora con articoli di fondo e commento per i massimi giornali italiani. È sposato con la scrittrice Daria Colombo, ha quattro figli e vive a Milano.